Chrome, il nuovo browser di Google, continua a catalizzare l’attenzione. È l’ultimo arrivato di un mercato in cui di browser in realtà ce ne sono a bizzeffe. Un migliaio di possibili varianti, oltre cento versioni “importanti” e un nocciolo duro di tre prodotti che da soli fanno il 96% del mercato. Un mondo più ricco e frammentato di quanto non si pensi. E molto particolare. Perché è un mercato che non vale miliardi, ma che i miliardi li fa guadagnare lo stesso.
Come è possibile questo paradosso? La risposta è semplice, se prima si chiariscono un paio di punti. I browser possono essere divisi in tre grandi gruppi: quelli basati su tecnologie chiuse e di proprietà di una singola azienda (come Internet Explorer di Microsoft e Opera della norvegese Opera Software), quelli realizzati con tecnologie aperte fatte da volontari coordinati da una fondazione (come Firefox della Mozilla Foundation), e infine quelli realizzati con tecnologie aperte ma da grandi aziende (come Safari di Apple o il browser della Playstation 3 di Sony e, per l’appunto, Chrome di Google), che risparmiano sul “motore” per investire su carrozzeria e allestimenti.
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